Il carro dei vinti - di Vittorio Camacci
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RITORNO A CASA
Ancora ricordo i miei passi nel bosco di castagni
In questa piccola terra quasi invisibile
Tra massi d' arenaria venuti giù dall' altopiano
Dove non c' è nessun orologio a segnare il tempo
Che vola insieme al vento e riporta al tempo passato
Sussurrando agli alberi secolari
C' è un sentiero scavato nei millenni
Da dove tornavo a casa
Quando ancora mia madre aveva una ragione
Che svanì con il dolore per le perdite del terremoto
Donna ostinata nello sfidare la natura
Graffiava la terra da cui ricavava abbondanza di cose buone
Carezze di vita che emanavano sapori antichi
Ricavati dal falò scoppiettante
Quando i primi colori del crepuscolo
Arrivavano su nostalgici giorni.
Le nostre montagne sono una parte del nostro cuore, ci capitano in pochi: qualche straniero amante della genuina solitudine, turisti di ritorno, camperisti a caso. Non esiste il turismo di massa, nonostante la bellezza del paesaggio, l’armonia dei borghi appoggiati sui colli, sugli speroni di roccia arenaria, sulle falde montane. Ci vengono soprattutto quelli che hanno la casa paterna, in un legame atavico che si presenta, ormai, solo d'estate o qualche giorno delle festività natalizie.
I nostri paesi vivono solo quei quindici giorni d'agosto, un piccolo pellegrinaggio laico verso le origini, verso piccole feste popolari. Le nostre terre sono state sempre un posto da cui andarsene, non c'è quasi nessuno d'inverno nei villaggi di pietra, in gran parte sbriciolati dal terremoto: anziani senza speranza, energumene badanti dell'est, qualche prete straniero, le famiglie che mandano avanti, con fatica, le attività commerciali necessarie, quei fortunati che lavorano nei posti statali e soprattutto pochi bambini, d'inverno ci sono più cinghiali e lupi che ragazzi sui nostri monti.
Ora il tempo passa e le cose nel post-terremoto cambiano velocemente, bisogna alzare le difese, anche perché ogni volta che facciamo uno sforzo otteniamo un risultato positivo. Non deve più partire gente dalla nostra terra, bisogna impegnarsi per far ricostruire tutto com'era. Sradicare ulteriormente gente da qui sarebbe un atto veramente crudele, sarebbe aggiungere altra sofferenza, altro dolore. Bisogna ricostruire per la gente di montagna, preservando le pietre e le soglie antiche, non si può cancellare l'anima dei nostri luoghi usando solo ferro e cemento.
Qui, adesso, sono tutti a favore del turismo sostenibile, lento, sono tutti diventati esperti del settore, di gestione dei rifugi, di escursionismo. È facile salire sul carro del successo ed accaparrarsi meriti non propri. Queste persone le riconosci subito, parlano solo di loro, in prima persona e pretendono anche di aver riconosciuto meriti non loro.
La verità non è una roccia, è un prato, una miriade di fili d'erba mossi dal vento. Queste persone dimenticano che qualcuno, prima di loro, ci ha messo la faccia, le sue esperienze maturate altrove in anni ed anni di pellegrinaggio esperienziale ed ha raccontato poi le sue verità perché tra interessi economici, omertà, realtà soggettive, ideologie vetuste ci ha vissuto e ne ha subito i soprusi.
La massa dimentica e non conosce, si abbassa ai potenti di turno. Da bambini ci avevano insegnato ad aver paura dei lupi, oggi sono le "pecore" che dobbiamo temere, quelli che abbassano sempre la testa. La prepotenza toglie la vita, essa ti illude, ti intima, ti condanna alla paura, ti rovina, ti distrugge la speranza. Agisce minacciando ritorsioni, vive in perfetta simbiosi con una miriade di protettori, complici, informatori, trova terreno fertile in mezzo a gente debole, intimidita, in difficoltà.
C'è chi controlla il nostro territorio, è un fenomeno antico, complesso e mutevole nel tempo. Cerca di essere invisibile, camaleontico e mimetico ma è facilmente percepibile per chi conosce i meccanismi di "certe famiglie" e la storia dei nostri paesi. Si assurgono a leader, pretendono di trovare soluzioni e provvedere ai bisogni di tutti invece si aggiustano solo i fatti loro. Sono loro che hanno piantato mille e più chiodi sulla superficie della nostra terra, il terremoto li ha tolti ma le cicatrici, purtroppo, sono rimaste e qualcuno non dimentica. Solo l'uomo comune dimentica, indotto dall'egoismo diventando così un idiota che vivrà sempre nell'ignoranza non conoscendo il rispetto.
I terremoti in Italia hanno provocato sempre decenni di sprechi e mala-politica, diventano infiniti, la burocrazia uccide più del terremoto, placatasi la terra non è più la natura ostile ad affilare la falce, ma la mano dell'uomo. Uccide più il sistema della corruzione che il sisma. Ci potrà salvare solo l'uomo vero, quello che vive secondo la sua più autentica natura, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni, le regole imposte dalla società corrotta. L'uomo che ritrova la sua genuina natura e vive conforme ad essa nella felicità. Invece, quando fai qualcosa di buono cominci ad avere tutti contro: quelli che volevano fare la stessa cosa senza riuscirci, perché vili, incapaci, ignavi; quelli che non volevano fare niente, la stragrande maggioranza.
L'uomo ignorante vuole un nemico, ti odia perché sei meglio di lui, crea bugie invidiose, le fa ripetere ai cretini e le fa credere agli idioti. Il nostro grammo di comportamento esemplare vale il loro quintale di parole. Comunque, alla fine nessuno è innocente perché in questa terra disastrata siamo diventati tutti individualisti, superficiali e violenti. Almeno noi abbiamo preso una decisione, abbiamo colto il fiore prima che appassisse, abbiamo guadato il fiume per raggiungere un'altra riva, abbiamo dato un senso alla nostra vita di terremotati.
Guardatevi attorno: muri crepati, calcinacci in mezzo a dolore e silenzio, lo stesso silenzio che unito alla malinconia ed alla rassegnazione avvolge i nostri piccoli borghi, segno di decadenza e spopolamento. Se ci aggiungiamo le infrastrutture precarie, i servizi carenti, la situazione diventa drammatica. Allora bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno, dobbiamo vedere la ricchezza ambientale, culturale, sociale, artigianale, agricola, enogastronomica, se perdiamo anche questo allora saremo senza speranza. Ritroviamo l'orgoglio, la dignità, l'identità partendo dall'ascolto e dall'umiltà, dalla riconoscenza e dal riconoscimento. Non dimenticate che abbiamo avuto un grande passato e su quello dobbiamo costruire il nostro futuro.
Vittorio Camacci
Lezioni aperte di CIRCO CONTEMPORANEO al PalaFolli
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Si svolgeranno la prossima settimana, ad iniziare da martedì 22 settembre 2020, le lezioni aperte di Discipline Circensi al PalaFolli di Ascoli Piceno in attesa dell’inizio dei corsi fissato per Ottobre.Grazie alla vasta esperienza nel campo del teatro di strada e di immagine, grazie alla professionalità di artisti formatisi nelle migliori scuole italiane ed internazionali, la Compagnia dei Folli rinnova l’appuntamento con i Corsi di Circo presso il PalaFolli Teatro.
A partire da martedì 22 settembre sarà possibile per tutti, dai 7 anni e senza limiti d’età, cimentarsi con l’affascinante mondo del circo contemporaneo. In seguito all’emergenza sanitaria sarà necessaria la prenotazione e confermare la propria presenza alle lezioni aperte che saranno svolte in piccoli gruppi e seguendo tutte le norme in materia di prevenzione e contenimento del contagio da Covid-19.
I Corsi aperti al PalaFolli Teatro sono corsi di discipline circensi che prevedono diverse attività: dalla giocoleria ed equilibrismo, all’acrobatica aerea su tessuto, cerchio, corda e trapezio tante volte utilizzati dagli artisti della Compagnia dei Folli nei propri spettacoli.
Gli insegnanti dei Corsi del PalaFolli sono attori ed acrobati della compagnia ascolana, giovani artisti che si sono formati nelle migliori scuole di circo italiane: la Flic di Torino, la Scuola Romana di Circo e la Galante Garrone di Bologna. Dopo esperienze maturate in Italia e all’estero, gli insegnanti della Compagnia dei Folli proseguono il percorso di insegnamento anche ad Ascoli Piceno, trasferendo a grandi e piccini la passione per le discipline aeree e circensi.
E’ della scorsa settimana il successo riscosso a Montegranaro durante il Festival Veregra Street in cui la Compagnia dei Folli ha debuttato con lo spettacolo “Arte Celeste” con protagoniste le insegnanti del corso di Circo. Le acrobazie aeree eseguite su musica dal vivo suonata dal quintetto Piceno Brass, sono state eseguite da Valentina D’Angelo e Silvia Valenti, due delle insegnanti di circo del Teatro PalaFolli. Per l’anno accademico 2020-2021, insieme a loro due, a guidare piccoli e grandi nelle discipline circensi ci saranno anche Giulia Silvestri ed Irina Zemtsova.Lo spettacolo “Arte Celeste” ha visto la partecipazione del quintetto Piceno Brass, musicisti coragiosi che hanno suonato ad oltre 30 metri di altezza e di una cantante che, sulle note del quintetto, ha dato vita a musiche e canzoni coreografate dalla Compagnia dei Folli con trampoli e acrobati.
I corsi di Circo al PalaFolli avranno inizio ad Ottobre, saranno seguite tutte le indicazioni anti-covid e le insegnanti saranno a disposizone nelle prossime settimane per le prove aperte previa prenotazione allo 0736-352211 oppure inviando una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Quanto vale la nostra acqua?
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Conosco molta gente di città che ha l'abitudine di lavarsi i denti o insaponarsi sotto la doccia mentre il getto dell'acqua continua ad uscire.
L'acqua è diventata così comune nelle nostre case tanto da essere considerata un bene illimitato e poterci permettere di sprecarla senza alcun problema. In media un comune cittadino italiano usa giornalmente 400 litri d'acqua mentre un africano meno di cinque. Un dato che fa indubbiamente riflettere. Negli anni cinquanta, solo un italiano su mille aveva l'acqua in casa, il resto della popolazione doveva approvvigionarsi di acqua alle fonti pubbliche, dove era necessario aspettare il proprio turno mentre le conche lentamente si riempivano.
Quando ero bambino e girovagavo per le campagne mi dissetavo spesso nelle sorgenti, nei ruscelli e nei fossi di montagna, da me ben conosciuti, ripetendo a me stesso una filastrocca che mia nonna mi aveva insegnato: "l'acqua corrente è sempre bona, la beve il serpente, la beve Dio, la bevo anch'io". Poi da adulto ho conosciuto curiosità importanti sull'acqua come la quantità di essa occorrente per ottenere un Kg di carne di manzo: ben 16.000 litri e che una goccia di pioggia che mi bagna oggi ha impiegato, per ritornare in ciclo, circa 2.000 anni, quindi potrebbe essere la stessa che ha bagnato Giulio Cesare e le sue legioni o che Giovanni Battista ha usato per battezzare Gesù.
Oggi in ogni casa è presente l'acqua corrente, calda e fredda, e per le attuali generazioni essa è una cosa scontata, naturale. Sono però pochi quelli che bevono l'acqua dal rubinetto perché la considerano insana o inquinata. Questa forse è una credenza diffusa ad arte dalle potentissime lobby delle acque minerali. L'acqua delle nostre montagne, soprattutto quella del Pescara e di Capodacqua, che disseta tutta la valle del Tronto è una delle migliori d'Italia, è attentamente controllata ed è da considerarsi più che sicura. Non contiene microorganismi, parassiti ed altre sostanze nocive per la salute umana, oltretutto è filtrata ed è clorata per eliminare ogni minimo batterio. Nel nostro Bel Paese sono presenti più di 250 marche di acque minerali che alimentano quotidianamente un mercato miliardario. L'acqua è l'oro liquido del presente e del futuro.
Vi siete mai chiesti quanto paghino di concessioni questi "Paperoni" dell'acqua? Una vera e propria miseria che varia da 2 euro al metro cubo a 10 euro per ettaro ed è palese come queste aziende spendano capitali in campo pubblicitario per acquisire consumatori. Il nostro pianeta è ricoperto di acqua per quasi il 90% ma di questa solo il 3% è acqua dolce, di cui è fruibile per le persone solo un misero 1%. Ecco perché è vitale non inquinarla e soprattutto non sprecarla. Ecco perché le orgenti arquatane sono miniere d'oro, un prezioso liquido che deve far pendere la bilancia dalla nostra parte, che deve servire a far sentire la nostra voce. La nostra acqua è preziosa ed importante anche a livello politico, tanto da far dire ai governanti lungimiranti che probabilmente la terza guerra mondiale si combatterà per l'acqua. Pensate la tragicità di questa profezia: l'acqua da dispensatrice di vita diverrà portatrice di morte e distruzione.
La nostra montagna offre la cornice, la storia va con essa, al suo interno conserva un tesoro e noi dobbiamo aiutarla a custodirlo. Pascoli, pendii scoscesi, boschi immensi e spettacolari altipiani carsici alimentano fonti cristalline. Una storia bellissima, atavica, ancestrale per cui vale la pena di combattere ogni giorno. Per far si che i nostri avi continuino ad essere fieri di noi consentendoci, con la loro protezione, di continuare ad essere custodi del nostro meraviglioso tesoro.
In questo splendido sonetto, scritto nel 1962, dal poeta estemporaneo capodacquaro Enzo Tavoletti, è racchiusa romanticamente la storia della nostra acqua:
Vittorio Camacci
ACQUEDOTTO DEL PICENO
Chi non vide non sa quant'eran belle
le generose polle d'acqua chiara
che in grembo a Capodacqua ed a Pescara
venivan fuori a << riveder le stelle >>
Or prigioniere, queste due sorelle,
scorrendo vanno in una nobil gara...
e la gente Picena si prepara
a riverirle in mille fontanelle.
Andate, andate, o Ninfe Sibilline,
giù per << lì dolci colli >> alla riviera
cantando ai cuori un inno senza fine.
Seguite il picchio della nuova era...
fra borghi, poggi e gaie cittadine,
nella moderna << Sacra Primavera >>...
Enzo Tavoletti
La leggenda del masso della Madonna delle grazie e di San Francesco
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"Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri "
Tanti anni fa, in pieno inverno, per circa tre settimane piovve ininterrottamente, sgelando improvvisamente la neve che fino ad allora aveva coperto le Coste di Trisungo, chi poteva permetterselo rimaneva in casa al caldo. Mentre era impegnata nelle faccende domestiche, una massaia del paese in riva al Tronto udì un forte boato provenire dalle Manzarecce. Istintivamente volse lo sguardo all'esterno, attraverso la finestra del balcone da cui godeva un'ampia veduta delle Coste. Di fronte ai suoi occhi si presentò qualcosa di incredibile: dalla sommità delle Manzerecce, sulla sinistra orografica del Fosso della Madonna, si era staccato un pezzo di montagna che aveva trascinato nella caduta terra, enormi massi, piante ed arbusti. Era una massa enorme che scivolava proprio in direzione della chiesa, con al centro un enorme macigno che sembrava galleggiare nel fango. La donna rimase basita non riuscendo neanche a gridare o dare l'allarme. Capì che il paese era in pericolo e si rischiava un'enorme tragedia. Poi come per incanto successe qualcosa di straordinario, tanto che, sulle prime, l'occasionale spettatrice non credette ai propri occhi, assistendo ad una scena che non dimenticò mai più per il resto dei suoi giorni. Dal nulla, nel vuoto, apparvero due ombre, sembravano quasi delle nuvole, dalla forma umana ed animata, assomigliavano a due persone vive e vegete, una comparve a destra e l'altra a sinistra della massa che stava precipitando. Entrambe sostenevano l'enorme roccia, nucleo centrale della frana, nonché pericolo principale per il rione Ponte, e ne rallentarono la caduta. Una delle due figure assomiglia alla Madonna delle Grazie, custodita nella chiesa madre e l'altra a San Francesco d'Assisi. "Madonna mì! Ma che mi succede? "Pensò la donna:" È tutto vero o è un'illusione!" Ciò dicendo non riuscì a staccare gli occhi dalla scena. Intanto, il macigno continuava a cadere, anche se lentamente perché sostenuto dalle due figure, fino a che persa velocità si depositò sull'ampio terrazzo coltivato, ricco di vigne pecorino, sulla destra orografica del Fosso della Madonna, senza creare distruzione e danno al paese. Tutto durò pochi secondi che alla donna sembrarono un'eternità. Istintivamente essa corse in strada ed incontrò altri paesani che avevano udito il frastuono. Corsero nella vigna ai piedi della Pera e videro il masso al centro della frana tra zolle, arbusti, alberi e pietre venuti giù dalla costa delle Manzarecce. Ora tutto era finito, come un attore principale il masso giaceva al centro della scena placidamente poggiato per terra, ancora tutto intero ma inoffensivo. Avrebbe potuto fare una strage invece si era fermato in quella vigna. Come obbedendo ad un istinto primordiale la donna s'inginocchiò, gli altri la imitarono immediatamente cominciando a pregare la Madonna delle Grazie per lo scampato pericolo. Successivamente tutti insieme raggiunsero la canonica ed informarono il parroco del fatto avvenuto. Il religioso rimase basito ma per prudenza non espresse opinioni in merito e si chiuse in un rigoroso silenzio. Sicuramente non dette troppo peso al racconto della sua parrocchiana e non riferì nulla alle autorità ed al suo vescovo, forse per rimanere lontano dal clamore che la notizia avrebbe generato e far rimanere il piccolo paesino nella quiete della montagna. Pochi giorni passarono e l'evento fu comunque sulla bocca di tutti per diventare oggetto di discussione in tutta l’alta valle del Tronto. Purtroppo, il riserbo del vecchio prete, non formalizzò il miracolo e lo scorrere del tempo e delle stagioni fece svanire la leggenda del "Masso della Madonna delle Grazie e di San Francesco". Miracolo che non si ripetette molti anni più tardi, in una notte d'aprile del 1959, quando dopo giorni ininterrotti di pioggia un grosso masso si staccò dalla sommità della Pera e trascinò via l'ultima casa del paese, che si trovava dopo l'odierna casa Giacobetti, sotto la vecchia Salaria verso Borgo D'Arquata. Tutti gli uomini di Trisungo per ore scavarono con la speranza di trovare qualcuno in vita. Purtroppo il "Miracolo del Masso" non si era ripetuto ed il Signore con le sue schiere angeliche richiamò a se un'intera famiglia: Ottavio Schiavoni, la moglie Lucia ed i figli Ezio (12 anni) , Orlando (10 anni) , Filippo (8 anni) e Maria (6 anni). La piccola fu trovata che stringeva in mano una bambolina di pezza. Altri due figli: Franco e Luigino, si salvarono perché in quel periodo lavoravano in un ristorante della capitale. Dalla saggezza dei nostri avi abbiamo imparato che le vie del Nostro Santissimo Salvatore Gesù Cristo sono imperscrutabili, ma Dio è sempre capace di sorprenderci perché noi poveri peccatori non sappiamo vedere al di là del nostro naso, non sappiamo cogliere i segni della sua presenza e siamo ciechi di fronte alla sua generosità.
"Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e investigabili le sue vie".
Vittorio Camacci