Quanto vale la nostra acqua?
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Conosco molta gente di città che ha l'abitudine di lavarsi i denti o insaponarsi sotto la doccia mentre il getto dell'acqua continua ad uscire.
L'acqua è diventata così comune nelle nostre case tanto da essere considerata un bene illimitato e poterci permettere di sprecarla senza alcun problema. In media un comune cittadino italiano usa giornalmente 400 litri d'acqua mentre un africano meno di cinque. Un dato che fa indubbiamente riflettere. Negli anni cinquanta, solo un italiano su mille aveva l'acqua in casa, il resto della popolazione doveva approvvigionarsi di acqua alle fonti pubbliche, dove era necessario aspettare il proprio turno mentre le conche lentamente si riempivano.
Quando ero bambino e girovagavo per le campagne mi dissetavo spesso nelle sorgenti, nei ruscelli e nei fossi di montagna, da me ben conosciuti, ripetendo a me stesso una filastrocca che mia nonna mi aveva insegnato: "l'acqua corrente è sempre bona, la beve il serpente, la beve Dio, la bevo anch'io". Poi da adulto ho conosciuto curiosità importanti sull'acqua come la quantità di essa occorrente per ottenere un Kg di carne di manzo: ben 16.000 litri e che una goccia di pioggia che mi bagna oggi ha impiegato, per ritornare in ciclo, circa 2.000 anni, quindi potrebbe essere la stessa che ha bagnato Giulio Cesare e le sue legioni o che Giovanni Battista ha usato per battezzare Gesù.
Oggi in ogni casa è presente l'acqua corrente, calda e fredda, e per le attuali generazioni essa è una cosa scontata, naturale. Sono però pochi quelli che bevono l'acqua dal rubinetto perché la considerano insana o inquinata. Questa forse è una credenza diffusa ad arte dalle potentissime lobby delle acque minerali. L'acqua delle nostre montagne, soprattutto quella del Pescara e di Capodacqua, che disseta tutta la valle del Tronto è una delle migliori d'Italia, è attentamente controllata ed è da considerarsi più che sicura. Non contiene microorganismi, parassiti ed altre sostanze nocive per la salute umana, oltretutto è filtrata ed è clorata per eliminare ogni minimo batterio. Nel nostro Bel Paese sono presenti più di 250 marche di acque minerali che alimentano quotidianamente un mercato miliardario. L'acqua è l'oro liquido del presente e del futuro.
Vi siete mai chiesti quanto paghino di concessioni questi "Paperoni" dell'acqua? Una vera e propria miseria che varia da 2 euro al metro cubo a 10 euro per ettaro ed è palese come queste aziende spendano capitali in campo pubblicitario per acquisire consumatori. Il nostro pianeta è ricoperto di acqua per quasi il 90% ma di questa solo il 3% è acqua dolce, di cui è fruibile per le persone solo un misero 1%. Ecco perché è vitale non inquinarla e soprattutto non sprecarla. Ecco perché le orgenti arquatane sono miniere d'oro, un prezioso liquido che deve far pendere la bilancia dalla nostra parte, che deve servire a far sentire la nostra voce. La nostra acqua è preziosa ed importante anche a livello politico, tanto da far dire ai governanti lungimiranti che probabilmente la terza guerra mondiale si combatterà per l'acqua. Pensate la tragicità di questa profezia: l'acqua da dispensatrice di vita diverrà portatrice di morte e distruzione.
La nostra montagna offre la cornice, la storia va con essa, al suo interno conserva un tesoro e noi dobbiamo aiutarla a custodirlo. Pascoli, pendii scoscesi, boschi immensi e spettacolari altipiani carsici alimentano fonti cristalline. Una storia bellissima, atavica, ancestrale per cui vale la pena di combattere ogni giorno. Per far si che i nostri avi continuino ad essere fieri di noi consentendoci, con la loro protezione, di continuare ad essere custodi del nostro meraviglioso tesoro.
In questo splendido sonetto, scritto nel 1962, dal poeta estemporaneo capodacquaro Enzo Tavoletti, è racchiusa romanticamente la storia della nostra acqua:
Vittorio Camacci
ACQUEDOTTO DEL PICENO
Chi non vide non sa quant'eran belle
le generose polle d'acqua chiara
che in grembo a Capodacqua ed a Pescara
venivan fuori a << riveder le stelle >>
Or prigioniere, queste due sorelle,
scorrendo vanno in una nobil gara...
e la gente Picena si prepara
a riverirle in mille fontanelle.
Andate, andate, o Ninfe Sibilline,
giù per << lì dolci colli >> alla riviera
cantando ai cuori un inno senza fine.
Seguite il picchio della nuova era...
fra borghi, poggi e gaie cittadine,
nella moderna << Sacra Primavera >>...
Enzo Tavoletti
La leggenda del masso della Madonna delle grazie e di San Francesco
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"Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri "
Tanti anni fa, in pieno inverno, per circa tre settimane piovve ininterrottamente, sgelando improvvisamente la neve che fino ad allora aveva coperto le Coste di Trisungo, chi poteva permetterselo rimaneva in casa al caldo. Mentre era impegnata nelle faccende domestiche, una massaia del paese in riva al Tronto udì un forte boato provenire dalle Manzarecce. Istintivamente volse lo sguardo all'esterno, attraverso la finestra del balcone da cui godeva un'ampia veduta delle Coste. Di fronte ai suoi occhi si presentò qualcosa di incredibile: dalla sommità delle Manzerecce, sulla sinistra orografica del Fosso della Madonna, si era staccato un pezzo di montagna che aveva trascinato nella caduta terra, enormi massi, piante ed arbusti. Era una massa enorme che scivolava proprio in direzione della chiesa, con al centro un enorme macigno che sembrava galleggiare nel fango. La donna rimase basita non riuscendo neanche a gridare o dare l'allarme. Capì che il paese era in pericolo e si rischiava un'enorme tragedia. Poi come per incanto successe qualcosa di straordinario, tanto che, sulle prime, l'occasionale spettatrice non credette ai propri occhi, assistendo ad una scena che non dimenticò mai più per il resto dei suoi giorni. Dal nulla, nel vuoto, apparvero due ombre, sembravano quasi delle nuvole, dalla forma umana ed animata, assomigliavano a due persone vive e vegete, una comparve a destra e l'altra a sinistra della massa che stava precipitando. Entrambe sostenevano l'enorme roccia, nucleo centrale della frana, nonché pericolo principale per il rione Ponte, e ne rallentarono la caduta. Una delle due figure assomiglia alla Madonna delle Grazie, custodita nella chiesa madre e l'altra a San Francesco d'Assisi. "Madonna mì! Ma che mi succede? "Pensò la donna:" È tutto vero o è un'illusione!" Ciò dicendo non riuscì a staccare gli occhi dalla scena. Intanto, il macigno continuava a cadere, anche se lentamente perché sostenuto dalle due figure, fino a che persa velocità si depositò sull'ampio terrazzo coltivato, ricco di vigne pecorino, sulla destra orografica del Fosso della Madonna, senza creare distruzione e danno al paese. Tutto durò pochi secondi che alla donna sembrarono un'eternità. Istintivamente essa corse in strada ed incontrò altri paesani che avevano udito il frastuono. Corsero nella vigna ai piedi della Pera e videro il masso al centro della frana tra zolle, arbusti, alberi e pietre venuti giù dalla costa delle Manzarecce. Ora tutto era finito, come un attore principale il masso giaceva al centro della scena placidamente poggiato per terra, ancora tutto intero ma inoffensivo. Avrebbe potuto fare una strage invece si era fermato in quella vigna. Come obbedendo ad un istinto primordiale la donna s'inginocchiò, gli altri la imitarono immediatamente cominciando a pregare la Madonna delle Grazie per lo scampato pericolo. Successivamente tutti insieme raggiunsero la canonica ed informarono il parroco del fatto avvenuto. Il religioso rimase basito ma per prudenza non espresse opinioni in merito e si chiuse in un rigoroso silenzio. Sicuramente non dette troppo peso al racconto della sua parrocchiana e non riferì nulla alle autorità ed al suo vescovo, forse per rimanere lontano dal clamore che la notizia avrebbe generato e far rimanere il piccolo paesino nella quiete della montagna. Pochi giorni passarono e l'evento fu comunque sulla bocca di tutti per diventare oggetto di discussione in tutta l’alta valle del Tronto. Purtroppo, il riserbo del vecchio prete, non formalizzò il miracolo e lo scorrere del tempo e delle stagioni fece svanire la leggenda del "Masso della Madonna delle Grazie e di San Francesco". Miracolo che non si ripetette molti anni più tardi, in una notte d'aprile del 1959, quando dopo giorni ininterrotti di pioggia un grosso masso si staccò dalla sommità della Pera e trascinò via l'ultima casa del paese, che si trovava dopo l'odierna casa Giacobetti, sotto la vecchia Salaria verso Borgo D'Arquata. Tutti gli uomini di Trisungo per ore scavarono con la speranza di trovare qualcuno in vita. Purtroppo il "Miracolo del Masso" non si era ripetuto ed il Signore con le sue schiere angeliche richiamò a se un'intera famiglia: Ottavio Schiavoni, la moglie Lucia ed i figli Ezio (12 anni) , Orlando (10 anni) , Filippo (8 anni) e Maria (6 anni). La piccola fu trovata che stringeva in mano una bambolina di pezza. Altri due figli: Franco e Luigino, si salvarono perché in quel periodo lavoravano in un ristorante della capitale. Dalla saggezza dei nostri avi abbiamo imparato che le vie del Nostro Santissimo Salvatore Gesù Cristo sono imperscrutabili, ma Dio è sempre capace di sorprenderci perché noi poveri peccatori non sappiamo vedere al di là del nostro naso, non sappiamo cogliere i segni della sua presenza e siamo ciechi di fronte alla sua generosità.
"Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e investigabili le sue vie".
Vittorio Camacci
Il tradimento di Fonte della Putetella - di Vittorio Camacci
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Durante la dominazione francese, gli ascolani erano sottoposti a pesanti contribuzioni e dovevano inviare costanti rifornimenti alimentari alla fortezza di Ancona. Allora, il 7 settembre 1809, dal suo accampamento di Venarotta, Giacomo Costantini detto Sciabolone, come il padre, inviava agli ascolani un proclama, ricordando loro che "non una finta Insorgenza, ma una truppa ben regolata avrebbe liberato il popolo Piceno giacente sotto la più dura schiavitù". Quindi sollecitava la popolazione a prendere le armi ed unirsi alla sua rivolta. Ma il suo invito rimase completamente inascoltato perché gli ascolani erano caduti nella più completa sottomissione e apatia e ormai, passato un primo momento di insoddisfazione e malcontento, erano completamente spossati da un’epidemia di vaiolo che aveva infestato la provincia dal mese di giugno, mietendo numerose vittime. Fallito questo tentativo Sciabolone spostò la guerriglia verso i paesi del montegallese e dell’arquatano.
Il 12 settembre 1809, 300 insorgenti a piedi e 70 a cavallo, sotto il comando di Antonio Cinaglia detto il "Cappuccino" e di Giuseppe Cellini di Poggio di Bretta, si accamparono nella zona di Montemonaco, mentre 30 briganti a cavallo e 70 a piedi, comandati da Costantino Schiavoni risalirono i sentieri che da Cervara portavano verso l'acquasantano. Lo guidavano in quelle terre, i suoi migliori uomini locali tra i quali Francesco Pulcini e Vincenzo Orsini di Favalanciata e Alessio Buonamici di Acquasanta. Schiavoni era della Spelonga ed era un vero ritratto di crudeltà e spietatezza. Un sanguinario di prima riga, indomabile e feroce, che superava tutti gli altri capimassa come i fratelli Ciammarichella ed i Giancarli detti "I Mattarelli".
Durante il tragitto si lasciò dietro saccheggi, devastazioni ed incendi. Giunto a Quintodecimo fu avvisato dalla popolazione del paese che gli insorgenti dell'arquatano erano rimasti isolati e che la popolazione non era più disposta a sostenere la rivolta poiché era ormai dissanguata economicamente. Per evitare agguati ed incontri con le truppe francesi, allora lo Schiavoni decise di risalire i sentieri nascosti e pieni di asperità sulla destra orografica del Tronto. Il primo giorno risalì il fosso di Noce Andreana (oggi sentiero CAI 312) accampandosi la notte nella grotta sotto la cascata. Il giorno successivo seguì la stradina che costeggiava il rio Piè della Selva per poi proseguire in quella del suo affluente il Rio Solagne. Poi coprì il piccolo valico di Costa Lopreia e lungo il fosso Farneto discese sotto le coste delle Vene Rosse fino a colle Fagne sotto le coste della Valmaiore.
Era ormai sera quando attraversò fosso Carpiceto per arrivare allo spiazzo murato della Mandola sul tratto dell'antichissima pre-salaria Romana. Informato dai suoi esploratori che a Trisungo, un plotone francese, si era accampato intorno alla dogana del Bollettone, decise di formare un accampamento notturno intorno al casale di Fonte della Putetella, sotto il fosso della Portella. La notte del 17 settembre, con la scusa di andare a trovare la morosa, un suo seguace detto "Cocciasecca" avvisò i francesi in cambio di una cospicua somma di denaro. Fu così che la mattina del 18 settembre i francesi circondarono il casale; sentendo il calpestio dei cavalli i briganti si allarmarono. "Chi vive?" gridarono i francesi. "Francia"risposero gli insorgenti guidati da Schiavoni. In tutta risposta furono allora bersagliati da una scarica di fucilate. I guappi del sardonico spelongano risposero anch'essi al fuoco.
Allora il comandante francese ordinò ai suoi di portare delle fascine davanti al portone del casale e di dargli fuoco. Offuscati dal fumo ed impossibilitati a respirare i briganti si dispersero fuori del casale, alcuni riuscirono a fuggire nel bosco di castagno ed a dileguarsi mentre altri caddero sotto i colpi francesi. Schiavoni si spostò sulla cantonata destra del casale, ma mentre si sporse per sparare una palla di fucile lo raggiunse nel ventre. Barcollando e appoggiandosi alle mura, invocando la Madonna della Salute, il brigante si trascinò per qualche metro e cadde dinanzi al portone. La sua gola cominciò a gorgogliare ed il suo fiato a "ruggire”. Fu allora che Angelo De Angelis, detto "Lu Biglie" riuscì ha caricarlo di traverso su un cavallo aiutato da due fidi compari ed a portarlo in salvo a Faete. Siccome egli aveva addosso un'ingente somma di denaro, tutta in monete d'oro, fu ospitato e curato nella casa di Tommaso Simoni la cui nuora Cecilia era esperta "mammana" e guaritrice.
Il 28 ottobre del 1829 finiva la rivolta antifrancese di Sciabolone, munito dei conforti religiosi, Giacomo Costantini veniva fucilato ad Ascoli insieme ai suoi compagni Giuseppe Cellini di Poggio di Bretta, Serafino Paolini, Matteo Silvi e Giovanni Cruciali di Lisciano. Tre giorni dopo fecero la stessa fine Antonio Cinaglia alias "il Cappuccino" ed il chierico Paolantonio Paperchia di Molviano. Finiva così la figura carismatica e piena di eroica grandiosità di Giacomo Costantini detto Sciabolone come il padre Giuseppe ed i fratelli Matteo e Venanzio che ne raccolsero l’eredità. Egli fu un uomo che non morì per la patria, concetto che ancora non esisteva, ma per rimanere fedele ad un credo incrollabile costituito dalla fede. Diventato ormai una leggenda, egli affrontò il plotone d'esecuzione con coraggio volgendo il suo ultimo sguardo alla montagna madre ed amica che non lo aveva mai tradito e che ora, muta ed immobile, rendeva l’ultimo silenzioso saluto al suo sacrificio. Invece Costantino Schiavoni la scampò, dopo essersi rifugiato nei vari casali e grotte della montagna spelongana, partecipò da protagonista anche alla rivolta anti-piemontese di Giovanni Piccioni detto Parnanzò per poi finire vecchio ed alcolizzato i suoi ultimi giorni. La sua vendetta nei confronti di “Cocciasecca" fu spietata, mentre egli pascolava le sue pecore sulla Vazzallesa gli rubò due muli con relativi basti e finimenti, poi, dopo averlo preso a schioppettate spezzò il corpo in sei parti, appendendolo ad un faggio. Agli occhi di un moderno lettore questa può sembrare un'enorme crudeltà ma a quei tempi la ferocia e la barbarie erano all'ordine del giorno. Pensate, si raccontava che egli era solito bastonare la moglie solo per il fatto che tardava a stendergli il tizzone per accendere la pipa. Nascere donna a Spelonga nell’Ottocento era una grande disgrazia... ma questa è un'altra storia.
Vittorio Camacci
Ascolinscena - rassegna di commedie
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ASCOLINSCENA RASSEGNA DI COMMEDIE - XIII Edizione
Al PalaFolli di Ascoli Piceno primo spettacolo in concorso
Sabato 9 novembre 2019 prenderà il via la XIII Edizione della Rassegna Teatrale Ascolinscena in programma al PalaFolli Teatro di Ascoli Piceno.
Dopo il successo della serata Anteprima dello scorso 26 ottobre con la Compagnia Arcoscenico diretta da Gianni Nardoni, sabato prossimo sul palco ascolano, direttamente dalla provincia di Avellino, arriveranno gli attori di ARTEMANUS con la commedia “Separati ma non troppo”, primo spettacolo in concorso per l’assegnazione dei Premi Ascolinscena 2019-2020.
La Compagnia Artemanus di Manocalzati (AV) porterà al PalaFolli la storia di Giulio, un quaranticinquenne costretto ad abbandonare il tetto coniugale, e del suo amico Nicola, nella medesima condizione, al quale chiederà ospitalità.
Nicola occupa un appartamento di proprietà della lunatica Lily, vicina con disturbi psicologici legati al suo passato di attrice. L’uomo ha pattuito l’occupazione gratuita della casa in cambio di un’attività: badante a tutte le ore. Giulio e Nicola decidono di dividersi la mansione. La vita da single dei due amici ha indubbiamente i suoi intoppi anche se i protagonisti sembrano aver solo a cuore la partita di calcetto! Decisi a dare un taglio netto col passato, sono entrambi desiderosi di ritrovare la libertà perduta. Dopo un iniziale periodo di euforia, i due cominciano ad incontrare difficoltà. In tutto questo, le folli incursioni della proprietaria Lily, che irrompe in scena continuamente, danno spessore al racconto scenico.
Diretti da Mario Accomando, sul palco del PalaFolli saliranno Raimondi Anna, Nittolo Gaeta, Cutillo Jiashwa Eva, Pagliuca Gianni, Ripa Valentina, Dell’Aquila Antonio, Gubitosa Roberto.
“Separati ma non troppo” della compagnia Artemanus sarà il primo degli spettacoli in concorso selezionati tra gli oltre 50 lavori giunti da tutta Italia alla giuria di Ascolinscena.
Subito dopo la messa in scena di sabato 9 novembre, gli abbonati saranno chiamati a esprimere un voto per l’assegnazione del Premio Gradimento del Pubblico, mentre la giuria degli organizzatori si riunirà per esprimere il proprio giudizio sui singoli aspetti dello spettacolo per assegnare i Premi miglior attore ed attrice protagonista e non protagonista, miglior allestimento (costumi e scenografia) e miglior spettacolo.
La Rassegna Ascolinscena è organizzata da Castoretto Libero, DonAttori, Li Freciute e la Compagnia dei Folli, con il supporto di Fainplast Compounds e UILT Marche. Come ogni anno, subito dopo lo spettacolo il pubblico potrà intrattenersi per un aperitivo con gli stuzzichini del Supermercato Tigre di Villa Pigna ed il vino offerto dalla Cantina San Michele a Ripa di Ripatransone (AP).
Fino a sabato prossimo sarà possibile sottoscrivere l’abbonamento alle 9 serate in cartellone al prezzo di € 75,00 (interi) ed € 65,00 (ridotto per donatori AVIS, over 65, studenti universitari e convenzionati). Ingresso singolo spettacolo € 10,00.
Per info www.palafolli.it oppure 0736-35 22 11