Vi auguro di perdere tempo.
Fermatevi a chiacchierare con un amico anche se siete assediati dalle incombenze quotidiane.
Perché la vita, depurata di tutto ciò che è urgente, ma paradossalmente non essenziale, alla fine si riduce a questo, all’amore che siamo stati in grado di ricevere e donare.
Lasciatevi sedurre dal profumo di erba tagliata e fiori selvatici che si mescola all’odore del pane caldo nei borghi della Laga. Rallentate il passo. Assimilate quell’odore buono che sa di primavera e di casa.
Godetevi un bicchiere di vino rosso seduti su un muretto di pietra, con il sole tiepido che accarezza la pelle e il vento che porta con sé il suono delle voci di chi sta ancora raccontando storie antiche sotto il portico di una vecchia osteria.
Ritagliatevi un attimo per osservare la sera che scende sulle montagne, quando il cielo si tinge di rosa e lilla, e le ultime luci del giorno accarezzano le cime innevate che resistono al cambio di stagione. Giocate a dare un nome a ogni colore che sfuma nell’aria, osservate il viola dissolversi nell’azzurro prima che la notte si impossessi di tutto.
I tramonti di aprile durano quanto una carezza, un battito di ciglia, una promessa sussurrata, ma sono bellissimi. Forse proprio perché effimeri.
Ci ricordano che la bellezza palpita più potente in ciò che è provvisorio.
Prendetevi tutto il piacere possibile.
Da un bicchiere di vino, un libro, una sinfonia o un corpo.
Anche se è il vostro.
Perché il tempo perso è guadagnato.
È un regalo che facciamo a noi stessi, un piccolo atto di disobbedienza nei confronti di una società che ci vuole efficienti, ma distratti, che ci insegna a fare mentre disimpariamo a sentire.
Vi auguro di perdere la strada.
Perché raramente ci si imbatte nella bellezza se non si ha il coraggio di abbandonare la via maestra. Basta mantenere lo sguardo libero dal pregiudizio e allenato al dettaglio. Ricordiamoci che anche negli interstizi tra le rocce si annidano i fiori, che un luogo apparentemente inospitale può farsi culla. Dopotutto le rocce si scaldano in fretta, basta un raggio di sole, nelle fenditure il vento non riesce a entrare.
E poi chi lo ha detto che nella vita bisogna per forza arrivare da qualche parte?
Non è la meta, ma gli incontri che facciamo, a dare un senso al viaggio, a trasformare in un’emozionante avventura quello che altrimenti sarebbe solo un confuso vagare.
Vi auguro di perdere la testa.
Di concedervi una piccola follia.
Come restare a camminare tra le stradine acciottolate di un borgo della Laga fino a notte fonda, anche se domani non è un giorno di festa, solo per guardare il cielo stellato senza pensare a niente.
Cambiate lavoro, paese, abitudini.
Soprattutto cambiate sguardo.
Per una volta, una soltanto, tradite la sicurezza per la passione.
Spogliatevi, non solo dei vestiti, ma di tutto ciò che si frappone fra voi e i vostri desideri.
Ci viene insegnato che i desideri a partire da una certa età non hanno più cittadinanza, così finiamo per svuotarli della loro potenza salvifica etichettandoli come capricci, fantasie di ragazzi destinati a evaporare al sopraggiungere della maturità.
E invece i desideri sono la chiave per aprire le stanze segrete della nostra anima o, fuori di metafora, la via per incontrare noi stessi.
Per accorgerci che alla fine siamo umani e nulla di ciò che è umano è estraneo alla nostra natura.
Vi auguro di perdere le vostre certezze per imparare che dopotutto nella vita le domande contano più delle risposte.
Privilegiate la fatica del dubbio all’arroganza della verità, che forse il Male non esiste, ma di certo Dio sta dalla parte del Festival Culturale dei Borghi Rurali della Laga.
Vi auguro di perdere.
Di perdere e di cadere perché la sconfitta è maestra di indulgenza. È attraverso l’inciampo che impariamo a ridimensionarci e a liberarci dalla tentazione di crederci invincibili.
Non sono le nostre vittorie a definirci, non più di quanto lo siano le nostre sconfitte, ma le battaglie che scegliamo di combattere.
Vi auguro di perdere i vostri compagni di viaggio se a tenervi insieme è solo la paura di restare soli o l’abitudine.
Ché la vita, si sa, è un’altalena di incontri e di addii, di foglie che cadono per fare spazio a nuovi germogli in una rincorsa incessante fino a quando non arriverà l’ora dell’ultima stagione.
Vi auguro di perdere il risentimento.
Non importa quali e quanti torti avete subito, il rancore è comunque una zavorra troppo pesante da portarvi dietro, vi ancora al passato e nega il futuro.
Se proprio deve succedere, vi auguro di perdere tutto, purché non perdiate mai voi stessi.
Anzi, cercate di tenervi stretti e di volervi bene con tutti i vostri spigoli, le vostre imperfezioni e le vostre idiosincrasie.
Che se ci riuscite voi ad amarvi poi riesce facile anche agli altri.
Non a tutti ovviamente.
Solo a quelli che contano davvero, quelli a cui, senza retorica e non per mera formalità, vale ancora la pena augurare una buona Pasqua!
Vittorio Camacci