Era il periodo del Carnevale, sul finire dell' inverno, nel rione più alto del paese, tra case di pietra e viottoli acciottolati, due fratelli si trovavano di fronte a un problema serio: il camino di casa loro non tirava più. Un tempo dalle nostre parti, gli spazzacamini veri e propri non esistevano, ognuno si arrangiava come poteva. I metodi erano originali e sbrigativi, praticamente succedeva di tutto: c'era chi infilava nel comignolo fascetti di spini, chi addirittura vi calava animali vivi e chi, con metodi più sbrigativi, sparava dentro alla canna fumaria con piccoli pallini da caccia o addirittura dava fuoco alla fuliggine sperando nel meglio.
I due fratelli decisero di cominciare con il metodo più tradizionale: un fascio di rovi di biancospino legato al centro di una lunga corda. Uno si arrampicò sul tetto, mentre l’altro rimase in basso, all’imboccatura del camino. Iniziarono a tirare la corda su e giù con energia, sforzandosi di scrostare le pareti intasate di fuliggine. Dopo un po’ il più giovane, che stava in basso, tossì e starnutì. Poi tossì ancora. Quando il maggiore smise di tirare e si sporse a guardare, scoppiò a ridere: il fratello era diventato completamente nero in faccia, sembrava un diavolo uscito dall’inferno!
"Ma che ride? Mi brucene gl'ucchie!" protestò il più piccolo, agitando le braccia.
"Te manca sole la coda!" rise l’altro.
Ma il fumo non accennava a diminuire. Dovevano passare al piano B. Prelevarono dal pollaio il gallo più robusto, gli legarono una zampa con una corda e lo calarono giù per la canna fumaria. Il volatile, colto dal panico, si agitò e scalciò come un indemoniato, sbattendo le ali e graffiando le pareti del camino. Dopo qualche secondo, lo tirarono su. Il gallo emerse dal comignolo come un essere mitologico, annerito dalla testa alle zampe, con gli occhi sbarrati ed il becco spalancato. Atterrò sul tetto, fece due passi incerti e poi si lanciò giù, planando nel cortile con un urlo disperato.
I due fratelli si guardarono. La crosta di fuliggine non era diminuita di un millimetro.
"C'è remasta sole na' cusa da fa'!" disse il maggiore, prendendo la doppietta appesa al muro. Caricò due cartucce a pallini, si affacciò al camino e sparò dentro un colpo secco. Un boato fece tremare le pareti. Per un istante sembrò che tutto fosse finito, ma poi dalla canna fumaria esplose una nuvola di fuliggine nera come l’inchiostro, che li investì in pieno. I due uscirono barcollando dalla casa, tossendo e sputando nero, ridotti peggio del gallo.
Proprio in quel momento, il pennuto, ancora traumatizzato, decise di vendicarsi. Si lanciò all’attacco, beccando e graffiando i due fratelli che cercavano di scappare alla cieca, inciampando l’uno sull’altro. Il più piccolo, nel tentativo di difendersi, urtò un secchio e finì dritto nel trogolo dei maiali. Il maggiore, nel panico, prese la prima cosa che trovò, un vecchio lenzuolo steso e se lo buttò addosso per proteggersi, trasformandosi in uno spettro nero che vagava per il cortile.
Il vicino, che passava di lì con un sacco di farina sulla spalla, si fermò a guardare la scena: un gallo indemoniato, un ragazzo che usciva fradicio dal trogolo dei maiali e un fantasma nero che correva in cerchio cercando di liberarsi del lenzuolo.
Fece un passo indietro, si segnò con la croce e borbottò: "Meglie che vajie a cunfessamme , vujia… Sti' giuvene ni'n sanne più cumma 'mmascherasse a Carnevale!"
Vittorio Camacci