lo sciamanoIl Festival dei Borghi Rurali della Laga ogni anno, con il suo arazzo di colori e voci, porta Mariano a immergersi in un mondo che sembra sfuggire alle leggi del tempo. La sua figura, si muove tra le antiche strade della Laga con un passo lento, ma deciso. I vecchi scarponi, consumati da anni di camminate, battono il terreno con la stessa solidità di sempre, mentre la sua presenza sembra rispondere a una legge più profonda, che ha imparato a conoscere. Non cammina mai scalzo, ma le sue scarpe portano tracce di terre lontane, di paesaggi che solo lui sembra davvero vedere.
Era il fotografo che aveva visto il mondo e l'aveva capito attraverso l'obiettivo. Ora, però, la sua macchina fotografica non cattura solo la realtà. No, Mariano è diventato qualcosa di più: un medium, un raccoglitore di energie invisibili. La sua arte non è più solo quella della luce e del buio, ma dell’intuizione, della visione, dell'incontro di mondi. Ogni scatto è una finestra che si apre su un altro piano, un’altra dimensione che solo lui, con la sua sensibilità sciamanica, riesce a percepire.
Nel cuore del Festival, tra i suoni, i canti e gli odori di un passato che si mescola con il presente, si fa largo l’imprevedibile incontro con una giovane donna abruzzese. Non è una figura qualsiasi, ma una camminatrice che, come le montagne stesse, sembra appartenere a un altro tempo. La sua presenza lo attrae, come se una forza magnetica l’avesse indirizzata verso di lui. Mariano sente subito che qualcosa in lei gli è familiare, non nel senso di una memoria passata, ma come una connessione profonda e misteriosa. È una musa che non lo incanta con la bellezza fisica, ma con la semplicità dei suoi gesti e la purezza della sua energia. Ogni passo che lei compie sembra risuonare con l’eco di antichi rituali.
Nel loro incontro, qualcosa di alchemico accade. Mariano non sa come, ma si sente trasformato. Non è solo l’immagine che cattura nei suoi scatti, è il paesaggio stesso che cambia sotto i suoi occhi. Ogni fotografia sembra raccontare una storia che va oltre il visibile, un intreccio tra la realtà e l’invisibile. La ragazza, inconsapevole di essere diventata parte del suo rito, cammina con lui, Mariano, per la prima volta dopo anni, sente che non è più solo un fotografo. È un testimone, un portatore di segreti ancestrali, di leggende dimenticate, di antiche energie che circolano tra le valli della Laga.
Lontano dalle luci artificiali del mondo moderno, Mariano trova un rifugio nei paesaggi montani, che sembrano rispondere al suo spirito, a quella parte di sé che non si è mai completamente persa, anche se il corpo è invecchiato. È un uomo che ha visto troppo per non credere che il tempo, in fondo, non esista davvero. Il suo cuore batte ancora al ritmo di un altro universo, quello che solo la sua macchina fotografica può svelare.
Lei, la giovane donna, è solo un passante nel suo viaggio, ma in qualche modo è diventata la chiave che ha aperto una porta. Una porta che Mariano ora non può più chiudere, che non vuole più chiudere. Ogni scatto, ogni passo insieme, lo conduce verso una trasformazione che non può più evitare. Il fotografo e la musa, entrambi viandanti nel tempo e nello spazio, continuano il loro cammino in un mondo che sa di eterno, pur rimanendo terribilmente presente.
Lungo i sentieri nascosti, riflesso in un ruscello che scorre tra le rocce, Mariano scatta d'istinto e quando abbassa la camera fotografica sente che la sua anima batte con i ritmi di questa terra e svanisce in una folata di vento che lui coglie in un'ombra, un movimento impercettibile, un'essenza. La Laga gli ha offerto un segno, un volto, un nome, un'eco, una presenza sfuggente. Mariano resta ancora un po', continua a fotografare con consapevolezza. Alcune immagini, le più intense, lasciale senza firma, nascoste tra i sassi dei muretti a secco, dentro le vecchie case di pietra, tra le pagine di un libro dimenticato in una locanda. Forse un giorno, la tua musa ne troverà una, forse no. Ma questo non ha importanza, l'incontro alchemico è avvenuto e questo basta per l'eternità.

Vittorio Camacci

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