caronteDa sempre, ascoltava il rumore del vento sbriciolarsi sulle cime degli alberi. Sulle nostre montagne il vento è padrone, come il brusio di un motore che non si spegne mai. Come il motore del trattore di suo padre, le sovviene anche se non lo sente più da anni. Sulla lamiera della parte anteriore del cassone di protezione del motore Pietro aveva scritto il nome della figlia a grandi lettere nere, Silvia, a lei pareva bello, importante e fissava quella scritta guardando verso l’alto tanto si sentiva piccola e bassa. Poi il suo papà se ne andò, se ne andò dal paese verso l’ospedale. Poi un giorno le dissero che non sarebbe più tornato da quel posto. Lo ha aspettato al bivio, nella loro radura, dal cuore del vento, giorno dopo giorno, anche la notte. Finché Milena non le ha detto: “è come è, non tornerà più, è inutile sperare”. Lei si rifiutava, fu costretta ad obbedire, a rannicchiarsi nel letto contro il muro, per non sentire Milena russare, come se niente fosse, come se tutto fosse normale. Ma da allora non è stato più lo stesso, Milena è diventata cattiva, picchiava Silvia per una cosa o per l’altra. Si è messa con un altro uomo, Franco, un buono a nulla che passava il tempo a bere, stravaccato sul vecchio divano del salotto a fissare i vetri della finestra. Silvia non aveva conosciuto la madre, morta poco dopo la sua nascita. Il padre, Pietro, non si era risposato, ma aveva scelto quella donna straniera, Milena che Silvia aveva cominciato ad odiare non appena aveva appreso i confini della parola odio. Milena le parlava con durezza, le gridava ordini, la obbligava a fare le faccende di casa. Quando il padre non aveva fatto ritorno dall’ospedale la vita con lei era diventata impossibile. Milena faceva la badante da una vecchia del paese e Franco beveva la sua birra e cominciò a fissare Silvia con uno sguardo strano. Un giorno la afferrò per un braccio borbottando parole incomprensibili, disgustose. Quando rientrò a casa, parlò di questo a Milena, era certa che Franco l’avrebbe intontita di bugie. Se ne andò a letto senza cena, rannicchiata, mentre nell’altra stanza i due russavano. Dopo, le cose si complicarono, non appena Milena usciva per andare al lavoro, Silvia la seguiva con lo zainetto pieno di libri. Quando diventò più grande fece la sua scelta. Decise di farla finita con quella vita. Un giorno si alzò presto, sistemò i suoi vestiti in un trolley, mise dei panini e una bottiglia d’acqua nello zaino e fece per prendere l’ autobus. Guardò per l’ultima volta i contrafforti d’arenaria che ben conosceva. Ora Silvia è inebriata dall’odore del mare, forte, aspro, che fa tossire, un odore familiare che rassicura. Nei giorni di burrasca, come un tuono, le onde vibrano fino alla spiaggia. Antonio non è vecchio, ma ha i capelli grigi. Quando glielo disse, Silvia sorrise. Disse: “hai i capelli bellissimi!” Silvia aveva gli stessi capelli di suo padre: folti, ricci, indomabili. Milena glieli voleva tagliare corti, suo padre glielo aveva vietato: “Noi siamo della Laga non nascondiamo i capelli, noi abbiamo bisogno del vento!”

Dedicato a tutte le donne della Laga costrette ad emigrare dalle amate montagne: " Che voi possiate avere il vento in poppa, che il sole vi risplenda in viso e che il vento del destino vi porti in alto a danzare con le stelle..."

Vittorio Camacci

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