casa2 2Non mi piace scendere a valle, c'è troppa gente, troppa confusione. Ci sono i centri commerciali, le boutique, le palestre, le beauty farm, le discoteche, posti con tante pretese che non sono esattamente come li vedi, sono posti che si mettono in mostra facendo solo promesse. Invece qui c' è tutto da scoprire, tutto da valorizzare. Con il terremoto è capitato in una notte quello che ai paesi è successo negli ultimi cinquant'anni. In tanti se n'erano già andati, sradicati dal progresso. Lo spopolamento è un terremoto altrettanto micidiale, solo che avviene al rallentatore, provocando una calamità sociale e antropologica le cui proporzioni sono difficili da stimare e i cui effetti si propagano stancamente nel tempo e nello spazio come onde sismiche.
Quello che ha fatto la terra con il suo tremolio distruttivo, la forza con cui si è accanita sulle case, lo ha fatto prima lo sviluppo economico sulle braccia di tanti giovani, travolgendone i destini ed inchiodandoli alle presse, ai forni, alle scrivanie, ai volanti ed agli sportelli. Non è stata solo la comodità, ci si è messa anche la mancanza di una prospettiva concreta. E' stata l’illusione di un'emancipazione fasulla che ha tramato in maniera subdola, con le seduzioni a buon mercato delle luci della città e i ricatti belli e buoni del mercato del lavoro.
C' è un parallelismo evidente tra la tabula rasa con cui il terremoto ha messo fine cinque anni fa, ed il disgregamento della comunità che in queste valli ci viveva da sempre. Una corrispondenza simbolica che urta l’anima.
 Il tempo provoca sempre un mutamento, ma a volte questi cambiamenti sono proprio lenti che non ce ne accorgiamo nemmeno. Un processo nascosto, inesorabile, fatale. Ci sei in mezzo, tutto sembra andare come al solito, non ci fai caso fino a quando non ti svegli e scopri di aver perso per strada le condizioni minime per non stare lì a sopravvivere soltanto e decidi di lasciare il paese sradicandoti, seppure a malincuore.
Se ti aggiri tra quello che resta delle frazioni te ne accorgi dagli scarti. Nei gruppi di case ancora in piedi ci sono più edifici in rovina che abitanti rimasti nelle SAE. Tetti sfondati, muri crollati, mentre nei cortili trovi ammassata l’inutile previdenza che fu montanara. Pozzetti di cemento, matasse di filo di ferro, spezzoni di reti da pollaio, lamiere, cataste di tegole, teli di nylon, assi, travi e tutto un repertorio di antichi arnesi ormai deteriorati e marci. Sono questi i vuoti che nessuno sgombera. Il principio è che tutto ancora potrebbe servire, in un futuro che non si realizzerà mai, tanto è ormai distante quel passato da cui quell'ammasso di roba proviene. Intanto, grazie all'ingenuo acquisto di un noto conduttore televisivo abbiamo scoperto dov'è finito il nostro patrimonio di materiale da costruzione storico. Adesso qui ci stanno, per lo più, i vecchi che non sono mai partiti, i pendolari che vanno e vengono ogni giorno dalla città e quei pochi matti ostinati attaccati ancora al cordone ombelicale di matrigna terra che li ha originati. C'è la scuola, tutta nuova, bella e tecnologica che ancora bisogna ringraziare chi ce l’ha fatta, con dentro una manciata di bambini che non ci garantiscono neanche il futuro di una delle tredici frazioni; ci sono delle attività commerciali che si reggono per miracolo tra contributi e piccole vendite; ci sono 5 o 6 bar che salvano il fatturato con gli operai della ricostruzione. Le poche trattorie aperte sono l’incrocio delle traiettorie di ciascuno, può capitare di trovarci dei forestieri che se ne stanno in disparte, li riconosci perché bevono il caffè a fine pasto e hanno un tono di voce più basso di quelli di qui. Ormai, tra paesani, ci si saluta con un cenno del capo e ancora si usano i soprannomi per riferirsi a Tizio e Caio ma presto spariranno anche quelli perché nessuno ha più voglia di scherzare. Sopra le poche case rifatte sono state messe delle bandiere tricolori, quando tira il vento gli auspici si mettono in cammino e vanno verso chi di dovere. Daglie e daglie, alla fine ci si riesce... Tutto si ripete ogni giorno allo stesso modo. Tizio aggiusta il suo pezzetto d'orto, Caio si prende cura delle aiuole fiorite delle SAE, Sempronio accende le sue memorie una dietro l'altra e forse aspetta ancora qualcosa.
Come sempre è avvenuto, strutture di potere fondate sulla paura, impongono modelli di vita alle persone deboli, usando per questo scopo individui prezzolati e senza scrupoli. Ritorna il vecchio adagio storico dei padroni e degli schiavi, dei nobili e dei plebei, dell'élite e del gregge. Alla base di tutto c'è un'ignoranza secolare, da sempre, che li lega a doppio vincolo nella paura di esistere, di vivere e di morire. La salvezza sta nell'uscire da questo schema, quando un gruppo di individui ricercherà le origini di tutta questa paura, riconoscendola, accettandola, superandola. La salvezza non è comandare né obbedire, è smettere di avere paura. Io credo che queste montagne si possano frequentare in modo diverso. Come quello che ho visto al nord. Comunque, tutti noi non siamo capaci di chiudere un cerchio, ma continuiamo a rimettere le braci di un fuoco che si affievolisce. Penso che ci vorrà molta pazienza, questo è sicuro, ma prima o poi qualcuno comincerà sul serio e qualcun altro lo seguirà. Alla fine, il cratere risorgerà di nuovo, posso giurarvelo.

UNA ROSA NEL TASCHINO

Una rosa nel taschino

cammino, cammino 

e passo via.

La vostra polvere e le vostre idee malvagie

le sto portando via.

Con il sole e con le nuvole

cammino con disinvoltura

con i piedi porto via

la vostra polvere ed idee vaghe,

vite gettate e passi perduti.

Una rosa nel taschino

cammino, cammino

e passo via.

Tra decadimento e cattive intenzioni,

polvere opaca e idee vaghe,

sogni gettati e passi perduti.

Una rosa nel taschino

cammino, cammino

e passo via.

La vostra polvere scura

e le vostre cattive idee

le porto via.

Tanta decadenza

polvere d' ombra e pensieri spenti

io li porto via

insieme ai mozziconi di sigarette

ed a tutti i dispiaceri.

Una rosa nel taschino 

cammino, cammino

senza cattivi pensieri.

Amare significa dare il massimo.

Amare significa dare tutto.

Amare è donare se stessi.

Cantare è pregare due volte.

                 Vittorio Camacci

Informativa: questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy. Chiudendo questo banner, o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Cookie policy