Grazie all'utilizzo di pratiche tradizionali, tramandate di generazione in generazione, i nostri sentieri presentano caratteristiche uniche e peculiari rispetto ad altre zone del Centro-Italia. E' determinante, quindi, al fine di tutelare e conservare il nostro grande patrimonio storico, culturale e naturale, mantenere vive le antiche tecniche costruttive, al fine di salvaguardare il nostro paesaggio e le ricchezze naturali che lo rendono unico al mondo. Sono tante le tecniche costruttive del passato, purtroppo oggi poco diffuse, ma facili da ritrovare in giro per le nostre montagne, come la tradizione dei muretti a secco (di confine, divisori, di sostegno, per la costruzione di casette di riparo). Una tecnica rintracciabile in quasi tutte le tradizioni culturali del passato e che può essere considerata quale primo tentativo di modificare l'ambiente. Tutte le grandi culture facevano ricorso ai muri a secco: i greci, i romani, le popolazioni del bacino mediterraneo, del continente europeo, dell'America Latina, della Cina. Nella nostra terra, i muri a secco in particolare, sono un elemento caratterizzante del paesaggio da centinaia e centinaia di anni. Hanno una grande valenza storica, sia quando sono utilizzati come linee di confine, come delimitazione di antichi sentieri, come supporto di terrapieni o come costruzione di casette di riparo con i tetti di schiazze d'arenaria. Sono un elemento antropico, in sintonia con il nostro paesaggio. Per realizzare questi muretti occorreva molto tempo e bisognava rispettare tecniche basilari per la loro costruzione.
La regola fondamentale era quella di disporre le pietre una sull'altra, assicurandone la necessaria stabilità, senza ricorrere a leganti (malta o cemento). In pratica si iniziava a scavare una trincea di fondazione, pari alla lunghezza del muro che si voleva realizzare, in modo da creare una base che doveva essere realizzata rigorosamente sempre a secco, con le stesse pietre. L'attrezzo usato per costruire questi muri era la mazzetta (avente una punta a piccone ed i lati retrostanti squadrati e non stondati) con la quale si regolarizzavano le pietre "squadrandole". In basso si usavano le pietre di maggiori dimensioni, mentre quelle piccole ed i ritagli venivano usati per riempire gli interstizi. Comunque, non esistevano regole standardizzate per la loro realizzazione, ogni muretto, essendo un elemento che conviveva con il paesaggio circostante, andava adattato alla zona interessata, ed il fattore che ne determinava le caratteristiche quali esposizione, struttura, composizione era la mano del suo realizzatore ed il tipo di pietra che esso utilizzava: arenaria, calcaree o ciottolo di fiume. Comunque i muretti a secco, di tutte le tipologie, erano suddivisibili in quattro zone: piede di fondazione o "base", livello medio, porzione rastremata superiore e coronamento "cima". Ci sono anche dei fattori che determinano l'importanza ecologica e la biodiversità dei muretti a secco, che son: la struttura, l'inclinazione, l'esposizione, la decomposizione, la velocità di colonizzazione, sui quali influiscono soprattutto: clima, apporto idrico, calore, luce, sostanze inquinanti e soprattutto animali selvatici, in particolar modo cinghiali. La loro totale o parziale perdita provoca la riduzione del valore paesaggistico ed è responsabile di pericolosi fenomeni di smottamento del territorio e di riduzione di fertilità del suolo. Infatti, essi danno stabilità ai terreni, tutelando il suolo, elemento prezioso del paesaggio rurale che offre ambiente favorevole alla vita animale e vegetale. I muri a secco sono un tesoro arquatano da conservare, tramandare e tutelare ed è fondamentale apprezzarne il valore per imparare a riconoscerli, a salvaguardarli ed a replicarli nel rispetto della tradizione e dell'ambiente.
Vittorio Camacci