RITORNO A CASA
Ancora ricordo i miei passi nel bosco di castagni
In questa piccola terra quasi invisibile
Tra massi d' arenaria venuti giù dall' altopiano
Dove non c' è nessun orologio a segnare il tempo
Che vola insieme al vento e riporta al tempo passato
Sussurrando agli alberi secolari
C' è un sentiero scavato nei millenni
Da dove tornavo a casa
Quando ancora mia madre aveva una ragione
Che svanì con il dolore per le perdite del terremoto
Donna ostinata nello sfidare la natura
Graffiava la terra da cui ricavava abbondanza di cose buone
Carezze di vita che emanavano sapori antichi
Ricavati dal falò scoppiettante
Quando i primi colori del crepuscolo
Arrivavano su nostalgici giorni.
Le nostre montagne sono una parte del nostro cuore, ci capitano in pochi: qualche straniero amante della genuina solitudine, turisti di ritorno, camperisti a caso. Non esiste il turismo di massa, nonostante la bellezza del paesaggio, l’armonia dei borghi appoggiati sui colli, sugli speroni di roccia arenaria, sulle falde montane. Ci vengono soprattutto quelli che hanno la casa paterna, in un legame atavico che si presenta, ormai, solo d'estate o qualche giorno delle festività natalizie.
I nostri paesi vivono solo quei quindici giorni d'agosto, un piccolo pellegrinaggio laico verso le origini, verso piccole feste popolari. Le nostre terre sono state sempre un posto da cui andarsene, non c'è quasi nessuno d'inverno nei villaggi di pietra, in gran parte sbriciolati dal terremoto: anziani senza speranza, energumene badanti dell'est, qualche prete straniero, le famiglie che mandano avanti, con fatica, le attività commerciali necessarie, quei fortunati che lavorano nei posti statali e soprattutto pochi bambini, d'inverno ci sono più cinghiali e lupi che ragazzi sui nostri monti.
Ora il tempo passa e le cose nel post-terremoto cambiano velocemente, bisogna alzare le difese, anche perché ogni volta che facciamo uno sforzo otteniamo un risultato positivo. Non deve più partire gente dalla nostra terra, bisogna impegnarsi per far ricostruire tutto com'era. Sradicare ulteriormente gente da qui sarebbe un atto veramente crudele, sarebbe aggiungere altra sofferenza, altro dolore. Bisogna ricostruire per la gente di montagna, preservando le pietre e le soglie antiche, non si può cancellare l'anima dei nostri luoghi usando solo ferro e cemento.
Qui, adesso, sono tutti a favore del turismo sostenibile, lento, sono tutti diventati esperti del settore, di gestione dei rifugi, di escursionismo. È facile salire sul carro del successo ed accaparrarsi meriti non propri. Queste persone le riconosci subito, parlano solo di loro, in prima persona e pretendono anche di aver riconosciuto meriti non loro.
La verità non è una roccia, è un prato, una miriade di fili d'erba mossi dal vento. Queste persone dimenticano che qualcuno, prima di loro, ci ha messo la faccia, le sue esperienze maturate altrove in anni ed anni di pellegrinaggio esperienziale ed ha raccontato poi le sue verità perché tra interessi economici, omertà, realtà soggettive, ideologie vetuste ci ha vissuto e ne ha subito i soprusi.
La massa dimentica e non conosce, si abbassa ai potenti di turno. Da bambini ci avevano insegnato ad aver paura dei lupi, oggi sono le "pecore" che dobbiamo temere, quelli che abbassano sempre la testa. La prepotenza toglie la vita, essa ti illude, ti intima, ti condanna alla paura, ti rovina, ti distrugge la speranza. Agisce minacciando ritorsioni, vive in perfetta simbiosi con una miriade di protettori, complici, informatori, trova terreno fertile in mezzo a gente debole, intimidita, in difficoltà.
C'è chi controlla il nostro territorio, è un fenomeno antico, complesso e mutevole nel tempo. Cerca di essere invisibile, camaleontico e mimetico ma è facilmente percepibile per chi conosce i meccanismi di "certe famiglie" e la storia dei nostri paesi. Si assurgono a leader, pretendono di trovare soluzioni e provvedere ai bisogni di tutti invece si aggiustano solo i fatti loro. Sono loro che hanno piantato mille e più chiodi sulla superficie della nostra terra, il terremoto li ha tolti ma le cicatrici, purtroppo, sono rimaste e qualcuno non dimentica. Solo l'uomo comune dimentica, indotto dall'egoismo diventando così un idiota che vivrà sempre nell'ignoranza non conoscendo il rispetto.
I terremoti in Italia hanno provocato sempre decenni di sprechi e mala-politica, diventano infiniti, la burocrazia uccide più del terremoto, placatasi la terra non è più la natura ostile ad affilare la falce, ma la mano dell'uomo. Uccide più il sistema della corruzione che il sisma. Ci potrà salvare solo l'uomo vero, quello che vive secondo la sua più autentica natura, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni, le regole imposte dalla società corrotta. L'uomo che ritrova la sua genuina natura e vive conforme ad essa nella felicità. Invece, quando fai qualcosa di buono cominci ad avere tutti contro: quelli che volevano fare la stessa cosa senza riuscirci, perché vili, incapaci, ignavi; quelli che non volevano fare niente, la stragrande maggioranza.
L'uomo ignorante vuole un nemico, ti odia perché sei meglio di lui, crea bugie invidiose, le fa ripetere ai cretini e le fa credere agli idioti. Il nostro grammo di comportamento esemplare vale il loro quintale di parole. Comunque, alla fine nessuno è innocente perché in questa terra disastrata siamo diventati tutti individualisti, superficiali e violenti. Almeno noi abbiamo preso una decisione, abbiamo colto il fiore prima che appassisse, abbiamo guadato il fiume per raggiungere un'altra riva, abbiamo dato un senso alla nostra vita di terremotati.
Guardatevi attorno: muri crepati, calcinacci in mezzo a dolore e silenzio, lo stesso silenzio che unito alla malinconia ed alla rassegnazione avvolge i nostri piccoli borghi, segno di decadenza e spopolamento. Se ci aggiungiamo le infrastrutture precarie, i servizi carenti, la situazione diventa drammatica. Allora bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno, dobbiamo vedere la ricchezza ambientale, culturale, sociale, artigianale, agricola, enogastronomica, se perdiamo anche questo allora saremo senza speranza. Ritroviamo l'orgoglio, la dignità, l'identità partendo dall'ascolto e dall'umiltà, dalla riconoscenza e dal riconoscimento. Non dimenticate che abbiamo avuto un grande passato e su quello dobbiamo costruire il nostro futuro.
Vittorio Camacci