Questa mattina ho fatto una passeggiata (attraversando campi pieni di cespugli, spine ed erba alta, un tempo questi campi erano coltivati a lenticchie, cicerchie, patate, grano e foraggio), fino alla casetta della “favoglia”. Mi è tornato alla mente il giorno in cui con papà, nella stagione della fienatura, abbiamo catturato una lepre che è finita per caso davanti alla lama della falce che le ha tagliato le zampe e non è potuta scappare. L’abbiamo uccisa, spellata e messa a cuocere con uno spiedo di legno che mio padre aveva accuratamente appuntito: era buonissima, molto spesso ricordo quel sapore che si è fissato nella mia memoria e non sono mai più riuscito a gustare. Quel giorno lo abbiamo passato a cucinare la lepre anziché tagliare il fieno. Con meraviglia ho constatato che la casetta era ancora come la ricordavo, il tempo non l’aveva assolutamente danneggiata. Pensare che in questi 40 anni circa da quando l’avevo vista l’ultima volta, anche qui ci saranno stati terremoti, temporali, nevicate ecc. qui siamo a circa 1200/1300 metri di quota. La casetta era ancora come la ricordavo, un albero di ciliegie era cresciuto proprio davanti alla porta, tutto intorno spine e ginestre, cespugli di “strozzacaglì” (rosacanina). Ho dapprima pensato di tagliare quell’albero di ciliegie, ma poi, visto che non ostruiva più di tanto, ho desistito. Per cominciare ho tagliato cespugli di spruigli (non so come si chiamano in italiano, hanno dei frutti che sembrano mirtilli, hanno un gusto orrendo, se mangiati in questo periodo, ma nel tardo autunno assumono una dolcezza indescrivibile), ho poi tagliato un cespuglio di strozzacaglì, così ho potuto guardare l’interno della casetta: il pavimento in terra battuta sembrava levigato, era evidente che l’acqua penetrata aveva spianato la terra polverosa disegnando delle specie di onde; qua e là c’erano impronte di cinghiali e anche qualche traccia di cane o forse di lupo, poiché il posto si presta a frequentazioni di animali di questo genere. All’interno i sassi disposti a mo’ di sedile erano ancora come una volta, ci si sedeva in attesa che spiovesse, o anche per godere di un po’ d’ombra durante l’ora di pranzo. Ho poi inciso con la roncola, “ED
Spelonga, 20 giugno 2009
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